Sacchetti biodegradabili e la rivolta degli italiani

Riprendiamo un articolo di Jacopo Carucci di Greenreport riguardo al tema che ha letteralmente indignato il popolo italiano in questi primi giorni dell’anno: l’obbligatorietà dei sacchetti biodegradabili. Torneremo sicuramente sul tema, ma per il momento vogliamo soffermarci su alcuni aspetti di questa situazione.

 

La norma che introduce l’obbligatorietà dell’uso dei sacchetti biodegradabili per l’ortofrutta è giusta, equa… e da perfezionare.

È giusta perché recepisce la direttiva europea che punta a ridurre l’utilizzo di sacchetti di plastica che invadono le nostre città, i fiumi e il mare, finendo poi per essere ingurgitati dai pesci e ritornare a noi, quando ci mangiamo una bella orata al forno. E siccome l’Italia è stata la prima ad introdurre il divieto di shopper in plastica alla cassa, nel 2012, oggi l’Italia va ad attaccare l’unica grande sacca rimasta, quella degli shopper sottili dei reparti ortofrutta dei supermercati.

È equa perché ribadisce un concetto che non vuole entrare nella zucca degli italiani: quando acquisto un prodotto acquisto anche l’imballaggio. E l’imballaggio si paga a parte, perché ha un costo per produrlo e ha un costo per riciclarlo (o per smaltirlo).

È perfettibile, perché come purtroppo accade spesso nel nostro Paese, la norma è poco chiara e si presta a malintesi, interpretazioni e pareri.

Le cose che devono essere chiarite sono: l’impossibilità di riutilizzare il sacchetto di plastica, dettata sostanzialmente da motivi igienici e comunque da leggi e normative pre-esistenti. Sono gli stessi motivi che per igiene hanno introdotto i guanti usa e getta (non riciclabili) o, per fare un altro esempio, che hanno convinto il 90% dei bar a togliere le zuccheriere sostituendole con lo zucchero in bustina.

Ha ragione chi teme che il consumatore possa optare a questo punto per le banane in vaschetta per risparmiare la manciata di centesimi dovuta per la busta dello sfuso. Però è anche vero che il problema sta a monte: in passato ho litigato varie volte con mia moglie proprio per la scelta delle banane, perché regolarmente quelle nella vaschetta di polistirolo e avvolte in pvc costano meno di quelle sfuse. Assurdo. E diverse volte mi sono recato al punto di ascolto esplicitando il mio dissenso alla paziente impiegata di turno addetta alle lamentele. Inutilmente.

In ogni caso, come giustamente ricorda Legambiente, sarà sufficiente una circolare ministeriale che permetta in modo chiaro, a chi vende frutta e verdura, di far usare sacchetti riutilizzabili (come ad esempio le retine), una pratica già in uso nel nord Europa. In questo modo si garantirebbe una riduzione auspicabile dell’uso dei sacchetti di plastica, anche se compostabile, come già fatto coi sacchetti per l’asporto merci  (che grazie al bando entrato in vigore nel 2012 in 5 anni sono stati ridotti del 55%), magari prendendo spunto anche dalla campagna Porta la Sporta/Mettila in rete dell’Associazione comuni virtuosi.

Come possiamo aggirare il problema in attesa di un chiarimento da parte del legislatore? Per esempio andando meno al supermercato e più nelle piccole botteghe di quartiere, dove la frutta e la verdura te la mettono nel sacchetto di carta per alimenti. Frutta e verdura costano di più? Certo, l’economia di scala non è uno scherzo! Ma probabilmente se avessimo tempo in casa di calcolare il costo dei prodotti che ci vanno a male perché comprandoli all’iper ne abbiamo acquistato uno stock superiore al necessario, alla fine dell’anno probabilmente ci accorgeremmo che nelle piccole botteghe si risparmia.

Si obietterà: ma la legge deve valere per tutti, anche i negozi di quartiere devono usare la bustina biodegradabile e farla pagare. Eh no. Nella legge non si parla di sacchetti di carta. Né si approvano né si vietano, si ignorano (altro punto evidentemente da perfezionare): quindi dal fruttivendolo acquisterò le mie 4 banane in un sacchetto di carta che non pagherò, e poi se non mi sarò portato la sportina da casa mi farò dare uno shopper biodegradabile che pagherò (non uno o due centesimi ma molto di più, come al supermercato si pagano 8-10 centesimi per gli shopper biodegradabili che prendiamo alla cassa).

Altra cosa da risolvere riguarda l’etichetta: le associazioni che riuniscono i produttori di bioplastiche dopo aver spiegato che il costo a famiglia sarà irrisorio ti dicono che comunque potrai riutilizzarle per la raccolta differenziata dell’organico. Qui c’è un peccato di ingenuità: l’etichetta adesiva non è compostabile ed essendo buste molto sottili sarà difficile toglierla senza rompere il sacchetto. Le tecnologie industriali per risolvere questo problema però già ci sono, ed è tecnicamente risolvibile.

Infine, permettete una riflessione sociologica: la rivolta mediatica, popolare e populista contro la norma che mette a pagamento (o meglio, che ne esplicita il prezzo) i pacchetti dell’ortofrutta è paradigmatica di un Paese ormai indolentemente, incapace di discernere qualsiasi evento senza chiamare in causa l’alibi dei complotti e dei complottatori. E non è una buona notizia.

 

 

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